Melissa Network, un approccio olistico con le donne migranti e rifugiate in Grecia

Una conversazione con Nadina Christopoulou, co-fondatrice di Melissa, una rete di donne migranti e rifugiate in Atene, Grecia. Ha spiegato la filosofia di Melissa, mettendo le esperienze delle donne migranti e rifugiate al centro delle loro azioni. Nadina ha anche parlato della situazione dei migranti in Grecia e di come Melissa sta sostenendo i loro membri durante la pandemia di Covid-19.

di Juliana da Penha/ traduzione Daniela Ghio

In una tipica giornata presso la sede di Melissa, circa 150 persone, di 45 nazionalità diverse, partecipano ad una varietà di attività, dal greco e l’inglese come seconda lingua, terapie teatrali, laboratori artistici e creativi, corsi di diverse competenze e formazione mediatica e infine supporto di advocacy. Le donne sono al centro del loro lavoro.

Melissa (parola greca che significa “ape”) è stata creata nel 2014, e all’inizio il programma sosteneva le donne migranti e rifugiate che vivono in Grecia da molto tempo. 

Nadina Christopoulou, antropologa greca e responsabile della gestione del programma, ha raccontato che l’idea di questa rete,  parte della sua ricerca post-dottorato, è nata negli anni in cui ha lavorato con diverse organizzazioni. Nelle sue ricerche, si è resa conto che le organizzazioni di donne migranti non erano collegate tra loro. “La ragione per cui abbiamo creato Melissa è stata quella di riuscire a riunire tutte queste organizzazioni e anche di creare una sorta di piattaforma dove si potesse scambiare le idee, condividere le conoscenze e tutto il resto”.

Un gruppo di donne nella sede di Melissa

Dal 2015 in poi, c’è stato un notevole afflusso di rifugiati in Grecia.  Nel giro di un anno, circa un milione di persone ha transitato nel Paese. Così, a un certo punto del 2016, quando le frontiere sono state chiuse e migliaia di persone in difficoltà, Melissa ha deciso di elaborare un programma basato sulle esperienze delle donne migranti e rifugiate, delle operatrici e dei leader della comunità.

In questa conversazione, Nadina ha spiegato come Melissa Network fornisce uno spazio alle donne migranti e rifugiate per sentirsi al sicuro, per guarire i loro traumi, per essere autonome, per imparare nuove abilità, per sostenere le loro comunità e per sentirsi a casa. Inoltre, ha parlato dell’impatto di Covid-19 sul loro lavoro. Infine, ha condiviso alcune preoccupazioni e possibili soluzioni per i problemi che le donne migranti e rifugiate stanno affrontando in Grecia.

 “La ragione per cui abbiamo creato Melissa è stata quella di riuscire a riunire tutte queste organizzazioni e anche di creare una sorta di piattaforma dove si potesse scambiare le idee, condividere le conoscenze e tutto il resto”.

Immagine di Jean Vella/Unsplash

Intervista a Nadina Christopoulou

Potrebbe spiegare la filosofia che Melissa utilizza per progettare il programma di attività, concentrandosi sulle esperienze delle donne migranti e rifugiate?

Nadina: Abbiamo creato un approccio olistico all’integrazione. Fondamentalmente, affrontando i diversi tipi di bisogni, ma non con i modelli di integrazione tradizionale (l’apprendimento delle lingue, le competenze e l’accesso al mercato del lavoro) ma cercando di farlo in un modo che non sia patriarcale nella sua concezione.

Naturalmente, siamo partiti dall’educazione, ma un tipo di educazione più adatta alle reali esigenze delle donne coinvolte e all’esperienza delle comunità di migranti, in termini di ciò che potevano offrire. Ci siamo poi seduti con linguisti specializzati nell’insegnamento del greco come seconda lingua e abbiamo elaborato un modulo molto pratico ma allo stesso tempo molto efficace per insegnarlo in modo veloce.

Abbiamo sviluppato gli strumenti e lo abbiamo fatto sulla base di ciò che sarà necessario affinché una donna si trovi al sicuro in un altro paese, senza parlare la lingua, senza sapere nulla. Quindi, si parte dalle cose fondamentali, e tutto avviene a strati. Allo stesso tempo, per noi è molto importante sostenere le persone completamente analfabete. C’erano donne che stavano passando da un analfabetismo completo e stavano imparando velocemente, non solo una, ma più di una lingua. Questo non solo è stato un successo, ma anche una sperimentazione, sotto molti aspetti, perché abbiamo avuto una risposta enorme.

Abbiamo sviluppato gli strumenti e lo abbiamo fatto sulla base di ciò che sarà necessario affinché una donna si trovi al sicuro in un altro paese, senza parlare la lingua, senza sapere nulla.

Attività del gruppo di Melissa

Quali sono i motivi per cui avete avuto una buona risposta utilizzando questo approccio?

Nadina: Mentre altri programmi stavano fallendo in Grecia, noi abbiamo avuto zero abbandoni. Il motivo è questo approccio olistico, le altre cose che abbiamo aggiunto e che erano oltre l’educazione. Abbiamo pensato che per rendere possibile l’apprendimento, per poter assorbire la conoscenza e per potersi adattare in una nuova realtà, per delle persone che si stavano riprendendo da un trauma, c’era bisogno di fornire loro un sostegno alla salute mentale.

Per noi era essenziale che le donne non partecipassero solo ai corsi di formazione, ma che seguissero un modulo di salute mentale potente e versatile allo stesso tempo. Quindi, lavoriamo molto con terapie teatrali, psicodrammi e molti metodi diversi.

Penso che questa sia una cosa che rende possibile l’apprendimento. Si fanno corsi di lingua e allo stesso tempo si discute di come si sentono. Quando si sentono abbastanza a loro agio da aprirsi, creiamo un modulo aggiuntivo che è arte e creatività.

Quali sono le altre attività previste da questo programma? Sono presenti diverse fasce d’età?

Nadina: Forniamo supporto linguistico, supporto per la salute mentale, supporto psicosociale, arte e creatività, informazione, formazione di competenze, supporto all’advocacy e formazione sui media. Infine, un altro modulo, per prendersi cura di sé e di occuparsi della propria comunità. Per noi è stato molto importante perché ha preso in considerazione non solo il fatto che una donna può accedere al mercato del lavoro, ma anche che una donna può diventare leader nella sua comunità. Come può essere una rappresentante di quella comunità, parlare con parole proprie, esprimersi in termini propri.

Inizialmente abbiamo lavorato con ragazze a partire da 14 anni, e ora abbiamo anche un programma per bambini. Naturalmente, questa era una componente essenziale perché abbiamo creato questo tipo di modello olistico in 7 fasi, ma lo abbiamo completato con l’assistenza ai bambini. Abbiamo notato che quello che stava facendo fallire i progetti era che le donne non potevano lasciare i loro figli e partecipare a un processo di apprendimento. Hanno bisogno di un’assistenza all’infanzia, e noi lo facciamo insieme a una delle comunità meglio organizzate che sono la comunità filippina, che hanno la loro scuola, i loro insegnanti preparati e tutto il resto. Forniamo anche un servizio di interpretariato/traduzione continua durante tutto il giorno, e questo ci garantisce di poter mantenere le classi miste.

Per noi è stato molto importante perché ha preso in considerazione non solo il fatto che una donna può accedere al mercato del lavoro, ma anche che una donna può diventare leader nella sua comunità.

Le donne nella sede di Melissa

Ha detto di avere 45 nazionalità che interagiscono nel centro di Melissa. Come funziona? 

Nadina: Nel centro, ogni giorno, non ci sono solo i programmi che gestiamo, ma offriamo l’accesso ad altre comunità di migranti e rifugiati, specialmente ai gruppi di donne, per venire ad utilizzarlo. In questo modo, c’è un’opportunità infinita per le persone di interagire fra di loro. Se per esempio gli ucraini condividono qualcosa o festeggiano il Natale, lo faranno con noi, e anche gli afghani vi prenderanno parte. Noi cerchiamo di farlo in un modo di favorire molti scambi.

Lo spazio è sempre aperto, anche nei fine settimana e la sera. La gente può venire a fare le prove, le lezioni, i gruppi religiosi e di discussione, qualsiasi cosa gli interessi, a qualsiasi ora. Abbiamo una specie di accesso aperto, lasciamo le chiavi in una panetteria dall’altra parte della strada, e quando i gruppi si iscrivono gli comunichiamo dove ritirare la chiave.

È uno spazio comunitario. Lo gestiamo in modo molto organizzato perché è fondamentale che sia sempre pulito e bello, ma è anche uno spazio molto aperto. Lo gestiamo come una casa. Per noi è imperativo gestirlo come una casa, perché è essenziale per ricreare, ispirare il senso di sentirsi benvenuti da qualche parte. Abbiamo una cucina, serviamo i pasti, c’è sempre caffè e tè, biscotti e dolci. C’è chi fa le cose in casa e le porta. È una sorta di vibrante spazio comunitario.

Per noi è imperativo gestirlo come una casa, perché è essenziale per ricreare, ispirare il senso di sentirsi benvenuti da qualche parte. 

Immagine di Ashkan Forouzani/Unsplash

In che modo la pandemia di Covid-19 ha colpito Melissa Network?

Nadina: Eravamo preoccupati, che la cosa potesse andare fuori controllo vedendo quello che stava succedendo in Italia. Eravamo terrorizzati perché tutto il nostro lavoro si basa proprio su ciò che fa diffondere il COVID-19: un numero elevato di persone che si riuniscono in modo molto intimo, molto affettuoso, con molte condivisioni ed emozioni. Abbiamo la mamma che viene con i bambini piccoli, i bambini che vengono dopo la scuola. Quindi, è un’esposizione costante. Di conseguenza, stavamo impazzendo all’idea di avere dei casi positive nel centro.

Abbiamo iniziato a sensibilizzare i nostri utenti a partire da febbraio e abbiamo anche organizzato alcuni corsi di formazione di base in materia di igiene. Abbiamo installato molte informazioni con poster su come proteggere le persone dalle infezioni, per loro e per i loro figli. In pratica, abbiamo iniziato a creare una modalità di emergenza. Abbiamo dato istruzioni alle donne che vengono da lontano, per evitare il trasporto pubblico. Abbiamo fatto lo stesso con le persone che hanno una salute vulnerabile, quindi consigliamo a coloro che sono in pericolo di rimanere a casa fino a nuovo avviso. Abbiamo anche iniziato a creare gruppi in base alla loro vulnerabilità. Abbiamo formato gruppi nel caso in cui dovessimo spostarci online, per poter seguire le persone più vulnerabili, per seguire le esigenze mediche, con il supporto psicologico e tutto il resto.

Ci organizziamo prima per le persone più vulnerabili e poi abbiamo deciso subito dopo di passare al lavoro a distanza. Abbiamo anche diviso i nostri gruppi in base alle lingue parlate e abbiamo creato una comunicazione online molto attiva. Siamo stati fortunati perché abbiamo avuto il tempo di farlo con anticipo. Non l’abbiamo fatto all’ultimo minuto. Fortunatamente, abbiamo preso misure rapide. Ora tutti sono online, siamo pienamente impegnati a sostenere le persone e a continuare a fare tutto il possibile.

Se non ci fossimo organizzati in anticipo, sarebbe stato un disastro completo.

Ci organizziamo prima per le persone più vulnerabili e poi abbiamo deciso subito dopo di passare al lavoro a distanza.

Immagine di Adam Nieścioruk/Unsplash

Quali sono gli effetti dell’isolamento per i membri di Melissa e per le altre donne migranti e rifugiate in Grecia? 

Nadina: Il vero effetto non è solo il fatto che le nostre attività sono sospese ma che le persone che partecipano al nostro programma – parliamo di oltre 150 persone al giorno – sono isolate. Non hanno reti di sostegno sociale (al di là di noi e le pochissime altri organizzazioni che le sostengono),  non hanno le loro reti familiari, non hanno un sistema di sostegno sociale che le aiuti. Molte persone sono in Grecia senza documenti, molte donne devono affrontare molta precarietà a causa di questo.

Come probabilmente sapete, da marzo, per diversi motivi, l’accesso alla domanda di asilo è stato sospeso. Quindi è più duro per loro. Molte delle donne devono affrontare l’arresto immediato e l’espulsione. Molte altre stanno affrontando altre difficoltà pratiche con i bambini perché non vanno a scuola in quanto le scuole sono chiuse dall’inizio di marzo. Mancano le scorte di cibo, hanno ritardi negli aiuti governativi e tutto il resto. Ma il pericolo più significativo è che per molte donne la casa non è un luogo sicuro. Per tutte quelle donne che subiscono violenza di genere o violenza domestica all’interno delle loro case, il messaggio “resta a casa per essere al sicuro” non è una garanzia di sicurezza per loro. Questo è uno dei problemi più grandi che ci troviamo ad affrontare. Per non parlare del numero di persone che devono affrontare gli sfratti, che non hanno accesso all’alloggio e che devono affrontare la mancanza di una casa.

Immagine di Clément Falize/Unsplash

Ogni giorno abbiamo a che fare con donne che non hanno un posto dove andare. Sfortunatamente, nessuna organizzazione accetta qualcuno in questo momento, è uno stato di emergenza. Quindi nessuno sarà tolto dalla strada, anche se la persona è in grave difficoltà. È molto complicato.

In sostanza, stiamo assistendo a donne che fanno accordi con diversi contrabbandieri che offrono alloggio, e non c’è niente che possiamo fare. Molte volte è l’unica scelta che hanno. Cerchiamo di parlare al telefono per assicurarci che si tratti di una famiglia e non di un uomo da solo, dando qualche consiglio e, magari, fornendo un piccolo supplemento finanziario se si trovano ad affrontare la precarietà o cose del genere. Ma è una situazione complicata e, onestamente, non vedo un’altra via d’uscita.

Per tutte quelle donne che subiscono violenza di genere o violenza domestica all’interno delle loro case, il messaggio “resta a casa per essere al sicuro” non è una garanzia di sicurezza per loro. Questo è uno dei problemi più grandi che ci troviamo ad affrontare.

Che tipo di supporto online Melissa sta fornendo ai vostri soci in questo momento?

Nadina: Fondamentalmente, siamo passati al supporto online subito dopo la nostra organizzazione di emergenza. Offriamo un aiuto online per le informazioni, il supporto psicologico, i servizi sociali, l’insegnamento delle lingue e anche, per alcuni, degli insegnamenti artistici. Prima siamo passati al lavoro a distanza e dopo abbiamo spostato la maggior parte dei contenuti online. Ovviamente non è la stessa cosa, ma funziona. 

Una delle cose che abbiamo creato è un diario interno on-line, come un diario dell’isolamento. È un spazio dove non solo le donne che sono in Grecia in questo momento, ma anche le donne che si sono trasferite in altri paesi, scrivono della loro solitudine. Cose come una vista dalla finestra, una foto del loro bambino che fa attività o una ricetta, qualcosa che hanno cucinato, un ricordo o un sogno. In realtà è la cosa più bella con cui svegliarsi e andare a dormire perché c’è una comunità e molto amore, affetto, tenerezza e molta resistenza. È davvero fonte di ispirazione. C’è un flusso costante, molti sfoghi emotivi, ma anche molta condivisione e forza reciproca.

C’è un flusso costante, molti sfoghi emotivi, ma anche molta condivisione e forza reciproca.

Immagine di Vitaliy Lyubezhanin/Unsplash

Cosa pensi che si possa fare per sostenere le persone che sono isolate, che in questo momento hanno difficoltà finanziarie? Inoltre, cosa si può fare a lungo termine per aiutare le donne migranti e rifugiate a superare le loro difficoltà?

Nadina: Penso che dovrebbe essere una preoccupazione dello Stato, con l’intervento delle Nazioni Unite ad occuparsi di queste persone in quanto sono una popolazione molto vulnerabile. Dovrebbero affrontare questioni di precarietà in termini di documenti legali e di accesso a bisogni elementari. Soprattutto nel caso delle donne, per le donne con bambini piccoli, sono necessarie alcune disposizioni che consentano loro un accesso specifico ad alcune strutture di sostegno. Non lo dico solo perché è la popolazione con cui lavoriamo e a cui siamo molto legati emotivamente, lo dico perché penso che quando le donne e i bambini sono al sicuro, è meglio per tutti. Più si provvede alla popolazione vulnerabile, sostenendola e proteggendola in questa crisi, meglio è per tutti.

Credo che ora non sia il caso di affrontare tutti i problemi contemporaneamente. Sono sicura che arriverà un momento in cui potremo occuparci della documentazione. Penso che l’accesso medico universale e le misure più semplice per quanto riguarda l’alloggio e l’assistenza alimentare non siano eccessivamente costose. Non sto parlando di cose folli, ma di esigenze fondamentali, che potrebbero essere attuate. Un’organizzazione come la nostra sarebbe più che disposta a soddisfarle.

Quando si affrontano le crisi, le donne sono quelle che tendono a soffrire di più perché diventano doppiamente emarginate, la loro vulnerabilità aumenta in questo contesto.

Immagine di Miko Guziuk/Unsplash

Sono molto preoccupata per queste cose anche perché è fondamentale non chiudere un occhio sulle violenze che possono verificarsi in case controllate da contrabbandieri o in case molto violente. Sono questioni critiche. Quando si affrontano le crisi, le donne sono quelle che tendono a soffrire di più perché diventano doppiamente emarginate, la loro vulnerabilità aumenta in questo contesto.

Noi cerchiamo di sostenere queste cose. La situazione più difficile è quella di cui la gente è testimone nelle isole, perché è lì che le donne sono bloccate in alloggi davvero squallidi, all’interno dei campi, senza accesso ai servizi igienici di base e tutto il resto. D’altro canto, una delle cose per cui ci battiamo è che la gente delle isole venga immediatamente evacuata e portata sulla terraferma, in strutture organizzate in modo più adeguato. Non si possono avere decine di migliaia di persone bloccate nei campi. È rischioso. Nel momento in cui succede qualcosa, può diventare virale in termini letterali. È abbastanza complicato, e dobbiamo essere più pro-attivi quando si tratta di questo. In questo momento siamo bloccati e con le mani legate. Penso che il governo e le organizzazioni internazionali debbano diventare più pro-attivi nel promuovere questo tipo di sostegno.

https://melissanetwork.org/

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