Migrant Women Press ha parlato con individui e organizzazioni che lavorano con le donne migranti in Italia per sapere come Covid-19 sta limitando la loro vita e le loro attività. E soprattutto, come stanno facendo per superare queste difficoltà.

di Juliana da Penha/traduzione Daniela Ghio

Dopo la dichiarazione della Organizzazione Mondiale della Sanità sulla pandemia di Covid-19 e il parere che “tutti i paesi devono trovare un buon equilibrio tra la protezione della salute, la riduzione al minimo delle perturbazioni economiche e sociali e il rispetto dei diritti umani”, gli Stati hanno iniziato ad adottare misure per gestire la diffusione del Coronavirus.

È stato osservato, soprattutto attraverso la copertura mediatica, che nonostante tutto il mondo sia colpito da questa pandemia, il virus ha colpito più duramente le comunità più vulnerabili, soprattutto le donne. Le organizzazioni per i diritti umani e diritti delle donne, gli attivisti e i giornalisti di tutto il mondo sensibilizzano l’opinione pubblica sull’impatto della pandemia sulle donne e su come la violenza domestica sia aumentata durante la quarantena, poiché le donne e le ragazze potrebbero essere rinchiuse con i loro maltrattatori.

La situazione delle donne migranti è ancora peggiore in quanto molte di loro sono prive di documenti e hanno diritti fondamentali come l’accesso all’assistenza sanitaria, negato. Alcune organizzazioni locali lavorano per sostenere le donne migranti, aiutandole ad accedere ai servizi locali, ad imparare le lingue locali, ad accedere al supporto psicologico per superare i traumi, ad avere l’opportunità di imparare nuove competenze, a trovare un lavoro, ad organizzarsi e a dare forza a sé stesse. Inoltre, creano uno spazio sicuro dove le donne possono incontrarsi e superare la solitudine. Molte di loro gestiscono i loro progetti con un minimo di disponibilità da parte del governo.

Dopo l’epidemia di Covid-19, queste organizzazioni hanno dovuto chiudere i loro locali, poiché la maggior parte del loro lavoro si svolge attraverso l’interazione sociale e hanno iniziato a svolgere alcune delle loro attività a domicilio. Alcune di loro riescono a mantenere alcuni servizi utilizzando Internet. In questa occasione, abbiamo parlato con individui e organizzazioni italiane per ascoltare quali sono le difficoltà che stanno affrontando e anche come stanno costruendo la loro resilienza in questo periodo di incertezza.

Le organizzazioni delle donne migranti in Italia: tra lotte e punti di forza            

Casa di Ramia è uno centro interculturale delle donne a Verona, noto come spazio sicuro dove donne di diverse origini si incontrano per creare, imparare e sviluppare progetti diversi. È anche un luogo dove molte organizzazioni femminili locali usano come base per le loro attività. Soprattutto, è un luogo dove le donne possono ascoltarsi e sostenersi. “Questo è un luogo del Comune di Verona, sotto l’area dei servizi sociali e dell’ufficio delle Pari Opportunità; tuttavia, è gestito come uno spazio informale, non c’è bisogno di alcuna documentazione per accedervi. È un luogo di incontro creato principalmente per soddisfare il bisogno delle donne di incontrarsi, di fare cose insieme, di pensare insieme, di confrontarsi e di costruire un linguaggio comune”; spiega Elena Migliavacca, coordinatrice dello spazio.

Prima della chiusura, la Casa di Ramia, che ha aperto lo spazio nel 2005, offriva un programma giornaliero di attività per donne, giovani e bambini con lezioni di italiano e inglese, gruppi di narrativa, corsi di danza tradizionale, coro, doposcuola, corsi di arte, cucito e altro ancora. Molte donne che hanno partecipato alle attività in quel luogo hanno poi creato i loro gruppi e ora usano lo spazio per organizzare i loro eventi e creare progetti collaborativi. Alcune donne vengono solo per incontrare altre donne per sentirsi a casa.

Nella quarantena, alcuni gruppi sono riusciti a continuare alcune delle loro attività a distanza utilizzando Internet. Ma l’impatto della chiusura di questo spazio è enorme. Molte donne sono ora isolate, in difficoltà economiche e rischiano di essere vittime di violenza domestica. Per le organizzazioni di donne migranti, la quarantena rappresenta l’incertezza dei finanziamenti, la mancanza di sostenibilità dei progetti e poche possibilità di dare sostegno alle donne in difficoltà.

“L’impatto di questa chiusura è terribile perché questi spazi di incontro sono essenziali per il sostegno reciproco. Questa situazione di isolamento è difficile. Cerchiamo di resistere, ma non possiamo fare molto”, ha spiegato Elena.

Consapevole della situazione di vulnerabilità di molte delle donne che hanno partecipato alle attività della Casa di Ramia, Elena si sta rivolgendo ad organizzazioni di beneficenza, come la Caritas, per fornire pacchi alimentari alle donne in difficoltà economiche. Elena ha anche detto che, sebbene su piccola quantita, alcuni dei gruppi di donne della Casa di Ramia stanno resistendo e creando modi per continuare a sostenersi a vicenda e continuare alcune delle loro attività online.

“L’impatto di questa chiusura è terribile perché questi spazi di incontro sono essenziali per il sostegno reciproco. Questa situazione di isolamento è difficile. Cerchiamo di resistere, ma non possiamo fare molto”

Arpilleras: La resilienza delle donne dell’America Latina ispira le donne in Italia durante la quarantena

Durante gli anni Settanta e Ottanta sotto il regime militare totalitario di Augusto Pinochet in Cile, le donne creavano Arpilleras – ricamo e quadri patchwork dai colori vivaci – e usavano quelle creazioni come un modo per condividere il loro dolore per i mariti, i padri, i familiari e gli amici che venivano uccisi, torturati e scomparsi.

Arpilleras ha documentato e denunciato le oppressioni durante un regime che non consentiva la libertà di espressione. Ha contribuito a registrare la capacità di resistenza delle donne di superare la sofferenza, la perdita e la disperazione. In seguito, è diventato un movimento che ha ispirato gruppi di donne in America Latina e in seguito ha ispirato le donne in altri luoghi. Il ricamo Arpilleras è usato oggi anche come strumento per denunciare la violenza di genere e altre forme di oppressione.

Motivata dalle donne del suo paese, il Perù, Vitka Olivera de la Cruz ha fondato un gruppo Arpilleras. Vitka è una avvocata specializzata in studi sociali. Lavora presso il Patronato INAC e fornisce consulenza, supporto giuridico e amministrativo ai migranti. Lei ed è anche una delle donne che sviluppano progetti alla Casa di Ramia. Ha dato vita al gruppo Arpilleras e, attraverso il ricamo, le donne creano narrazioni.

“Usiamo i nostri colori vivaci, con tutte le storie su cui possiamo lavorare, usando ritratti o altre cose. Per esempio, nella Casa di Ramia, abbiamo rappresentato la casa come un albero, e mentre lavoriamo a questa storia, le donne cominciano a ricordare le loro storie e ad esprimersi, passo dopo passo. Cominciano anche a riconoscersi, per esempio, per rappresentare il colore della pelle, bisogna trovare il tessuto adatto con quel colore. Quindi, costruiamo questo con alcuni testi, un pò di musica e poesia latino-americana”, Vitka ha spiegato.

Ricamo creato nel workshop Arpilleras

Quando è iniziata la quarantena in Italia, Vitka ha pensato che sarebbe stato un peccato porre fine a questa attività perché le cose andavano bene, così ha continuato a fare il workshop utilizzando WhatsApp. L’ispirazione per tenere il workshop Arpilleras by WhatsApp le è venuta quando ha visto che la figlia del liceo, con le scuole italiane chiuse, sta frequentando le lezioni online. “Mi sono ricordata che vengo dal Sud America e li noi inventiamo tutto. Così ho detto al gruppo: se siete d’accordo, possiamo tenere le lezioni attraverso WhatsApp. Dopo di che, abbiamo iniziato a condividere video, foto e persino a ballare. Ho messo delle canzoni e le 5 donne che quel giorno erano online hanno ballato.”

Seguendo la dinamica del workshop prima della chiusura, il gruppo si riunisce a WhatsApp ogni venerdì, dalle 10:00 alle 12:00 e Vitka dà anche qualche compito a casa al gruppo. “Per esempio, abbiamo lavorato con la paura, e tutti cominciano a dire quali sono le loro paure. Alcuni di loro hanno detto di avere paura di qualche animale; altri hanno detto di temere il vuoto. Dovrebbero disegnare queste paure e disegnare anche come superare queste paure. E il giorno del nostro incontro, presentano tutti i disegni, inviando le immagini”. Vitka invia dei video che insegnano al gruppo a cucire, e loro inviano un video che mostra il loro lavoro. Questo gruppo di Arpilleras è misto, con italiani e donne migranti che si sostengono a vicenda in questo difficile momento. “Si sentono capaci e le loro capacità aumentano. Abbiamo iniziato a discutere di qualsiasi questione relativa ai problemi che affrontiamo, cose che pensavamo di non essere in grado di fare e che ora stiamo facendo. Cerchiamo di scoprire perché pensavamo di non essere in grado di fare. Chi ci ha detto che non ne siamo capaci?Lavoriamo sull’autostima”.

Il gruppo Arpilleras ha in programma di presentare il proprio lavoro in una conferenza sulla guarigione comunitaria che si terrà a ottobre presso l’Università di Verona. Il loro obiettivo è anche quello di creare piccoli outfit con un’impresa sociale locale che lavora con progetti innovativi. “L’idea di Arpilleras in Cile e in Perù è finita bene perché hanno iniziato a vendere i loro prodotti, sono andati nei musei. Mi piacerà se riusciremo a farlo. Abbiamo appena iniziato, ma questa è l’aspirazione. Abbiamo creato alcune bambole, ognuna del nostro paese d’origine. Continueremo a fare queste bambole. Mi è venuta l’idea di fare ancora più bambole e di creare una mostra, per parlare del nostro lavoro nella Casa di Ramia, come punto d’incontro per le donne”.

“Mi sono ricordata che vengo dal Sud America e li noi inventiamo tutto.”

Parlando della motivazione primaria del gruppo Arpilleras Vitka ha detto: “Prima di tutto, questo progetto serve come distrazione per il pensiero che non riusciremo a finire questo brutto periodo. Faccio battute e parlo di cose che sono successe in Perù. Il nostro modo di esorcizzare le cose in Perù è fare battute sulla situazione. Una delle donne cuce il Coronavirus (ride). Con alcune storie che ho raccontato loro, si sono rese conto che stanno accadendo molti altri dolori”. E conclude: “Sono stata ispirata da quello che è successo nel mio Paese. Abbiamo molti problemi, ma andiamo avanti”.

“Sono stata ispirata da quello che è successo nel mio Paese. Abbiamo molti problemi, ma andiamo avanti”.

Le sfide per sostenere le donne migranti durante la pandemia

In Italia si stima che ci siano 600.000 immigrati senza documenti. Questa situazione aumenta la vulnerabilità alle violazioni dei diritti umani, le difficoltà di accesso ai diritti fondamentali come l’assistenza sanitaria, lo sfruttamento del lavoro e le difficoltà finanziarie. In Italia è in corso una campagna – Sanatoria Subito– che fa pressione sul governo italiano per l’amnistia dei migranti privi di documenti: sono loro i più vulnerabili al virus e all’impatto che esso crea. Un numero significativo di donne migranti in Italia sono lavoratrici informali, e la disoccupazione in questo gruppo è elevata. Dopo la pandemia, la situazione è peggiorata.

L’Associazione Stella è un’organizzazione con sede presso la Casa di Ramia che offre supporto all’occupabilità delle donne migranti, aiutando a costruire CV, ricerca di lavoro e opportunità di formazione. Organizza anche corsi di formazione sull’occupabilità, aiutando le donne migranti a capire come funziona il mercato del lavoro in Italia, informandole e preparandole ad affrontarlo meglio. Prima della pandemia, i loro servizi hanno iniziato a risentirne per mancanza di fondi e potrebbero non continuare dopo la chiusura. Vedrana Skocic, coordinatrice dell’Associazione Stella ha spiegato che i finanziatori chiedevano requisiti che erano quasi impossibili da soddisfare perché si affidavano a piccole sovvenzioni. Sarà una perdita significativa perché le donne che hanno partecipato al progetto ne avevano davvero bisogno.

Vedrana ha spiegato che la maggior parte delle donne sono lavoratrici informali con un bassissimo reddito, e molte sono disoccupate, alla disperata ricerca di un lavoro. Per l’Associazione Stella l’isolamento ha rappresentato la chiusura completa delle attività in quanto le donne che hanno partecipato al progetto mancano di cose come i dati per i loro telefoni quindi, è impossibile pianificare qualsiasi azione online. “Nell’ultimo percorso di informazione e orientamento al lavoro che abbiamo organizzato, mi sono resa conto che alcune donne non avevano i dati per accedere nel loro telefono ad alcune informazioni che stavo dando loro. Quindi ora sono incomunicabili. Il nostro obiettivo sono donne con molte difficoltà finanziarie, quindi i dati di Internet sono il loro ultimo pensiero/urgenza. Quindi, non ha senso organizzare qualcosa online per le nostre donne. Abbiamo creato un gruppo WhatsApp, e ho scritto a questo gruppo, ma solo poche donne hanno risposto”; ha spiegato Vedrana.

Anche per le donne che hanno accesso a Internet, ora anche i loro figli devono usare perché frequentando le lezioni online; quindi hanno la priorità nell’uso di Internet. Vedrana sottolinea il fatto che parlare delle proprie esperienze lavorative e frequentare la formazione per orientamento al lavoro è un percorso difficile e per molte donne è una sfida. Ora con i loro figli, farlo online è problematico perché hanno bisogno di tempo e di spazio per concentrarsi sul parlare delle loro esperienze.

Prima della pandemia le donne migranti erano alla disperata ricerca di un lavoro e hanno trovato molte difficoltà. Ora la loro situazione è più difficile. “Si sentono isolate a casa. Molte sono madri single con i loro figli, senza reddito e con i piccoli lavori informali che facevano. Non sanno cosa fare. I media bombardano di informazioni, ma sono ancora confuse perché molte di loro non parlano italiano”.

“Si sentono isolate a casa. Molte sono madri single con i loro figli, senza reddito e con i piccoli lavori informali che facevano. Non sanno cosa fare. I media bombardano di informazioni, ma sono ancora confuse perché molte di loro non parlano italiano”.

Vedrana ritiene che uno dei possibili sollievi per la situazione di vulnerabilità delle donne migranti in questo momento potrebbe essere i “buoni spese” che il governo vuole attuare. Tuttavia, non è ancora sicura di come funzionerà. Ritiene inoltre che sia fondamentale iniziare ora a riflettere e discutere su come saranno organizzate le cose dopo la quarantena “Non possiamo svegliarci un giorno e dobbiamo risolvere tutti questi problemi. Dobbiamo cominciare a pensare alle soluzioni adesso”.

Vedrana suggerisce che qualcosa che le donne possono fare se hanno accesso a Internet mentre sono in quarantena, è utilizzare il sito web WhomeN per valutare le loro competenze trasversali. WhomeN è un progetto dell’UE che mira a riconoscere le competenze trasversali delle donne a rischio di esclusione sociale.

“Non possiamo svegliarci un giorno e dobbiamo risolvere tutti questi problemi. Dobbiamo cominciare a pensare alle soluzioni adesso”.

Una rete di solidarietà per aiutare le donne migranti in difficoltà durante la pandemia

Alcune organizzazioni di donne migranti usano la loro rete per trovare sostegno ai più vulnerabili e collaborano con altre organizzazioni per inviare confezioni di cibo alle donne bisognose. Le Fate Onlus sviluppano progetti con donne e bambini, principalmente comunità di migranti a Verona. Forniscono servizi come corsi di lingua italiana e aiutano le donne ad accedere ai servizi locali per sé e per i propri figli. Organizza inoltre corsi di artigianato artistico e progetti per aumentare le opportunità di lavoro nel settore dell’artigianato per le donne migranti. Offrono sostegno psicologico alle donne durante la gravidanza, alle vittime di violenza domestica e aiutano le donne in difficoltà economiche.

Cristina Cominacini, la coordinatrice de Le Fate, ha spiegato che la quarantena ha creato un impatto significativo sui loro servizi, poiché la maggior parte delle loro attività si basa sul contatto fisico. Hanno dovuto chiudere i loro uffici e il personale lavora da casa. “Oltre a non sapere quando, quanto e come verremo pagate per il lavoro che stiamo facendo, è complicato organizzare attività online perché non tutte le donne hanno un PC o una buona connessione a internet. Non è la stessa cosa, per la relazione e per le cose che si possono fare”.

Le Fate cercano di aiutare le donne che hanno partecipato alle loro attività mantenendo contatto il più possibile, scrivendo e chiamandole. Inoltre, ci sono alcuni educatori di questa organizzazione, che aiutano i bambini ad impegnarsi negli studi a casa, mentre le scuole italiane impartiscono lezioni online. Cristina ha spiegato che stanno aiutando le donne a capire come funziona, in modo che possano sostenere meglio i loro figli. Le Fate stanno aiutando anche le donne che si trovano in difficoltà economiche. “Possiamo fare rifornimento al Banco Alimentare ogni mese, quindi distribuiamo la spesa a chi ne ha bisogno. Questo mese abbiamo anche ricevuto un fondo di 1500 euro dal Mag (una società mutua) con cui siamo nati, e collaboriamo molto. Pensavano che molte delle persone che seguiamo hanno perso il lavoro o non hanno protezione perché lavorano illegalmente. Così, potremmo dare un piccolo contributo economico sia per le donne che per le famiglie”, ha spiegato Cristina.

“Oltre a non sapere quando, quanto e come verremo pagate per il lavoro che stiamo facendo, è complicato organizzare attività online perché non tutte le donne hanno un PC o una buona connessione a internet. Non è la stessa cosa, per la relazione e per le cose che si possono fare”.

“Si sentono soli”. Sostegno alle vittime dello sfruttamento sessuale in Italia durante la pandemia

Un rapporto del 2017 dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) sulla tratta di esseri umani attraverso la rotta del Mediterraneo stima che il 51% delle vittime della tratta di esseri umani nel mondo sono donne. Lo sfruttamento delle donne è principalmente sessuale (72% dei casi). Il rapporto ha rivelato un aumento degli arrivi di migranti e di coloro che cercano protezione internazionale in Italia a partire dal 2016. L’OIM stima che circa 80% delle donne e delle ragazze nigeriane che sono entrate in Italia via mare nel 2016 sono probabilmente vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale in Italia o in altri Paesi dell’Unione Europea. Il rapporto ha anche richiamato l’attenzione sul significativo e preoccupante aumento delle adolescenti vittime della tratta.

L’Associazione Iroko Onlus è un’organizzazione che aiuta le vittime della tratta e dello sfruttamento sessuale a Torino. Fornisce mediazione culturale e linguistica, consulenza legale e amministrativa, supporto nella ricerca di un alloggio e di un lavoro, accesso all’istruzione e ai servizi sanitari. Sviluppano anche diversi progetti per la formazione e la preparazione delle donne all’integrazione nel mercato del lavoro. L’Associazione Iroko promuove anche attività di networking, partecipando a varie conferenze e incontri. L’isolamento ha creato un impatto significativo nel loro lavoro, e ora è difficile per loro mantenere i contatti con tutte le donne che sostengono.

Ruby Till, responsabile della comunicazione di Iroko, ci ha detto che molte donne che conoscono hanno perso il lavoro e ora faticano a pagare le bollette. Ci ha spiegato che molte di loro non avevano un lavoro prima. Ora è molto più difficile da trovare perché la maggior parte dei servizi e delle industrie sono chiuse. Le visite agli ospedali sono fermi, tranne nei casi di urgenza e di rischio per la vita. Ruby ha spiegato che, sebbene siano consapevoli del fatto che molte delle donne che si trovano ad affrontare il problema durante la pandemia, il sostegno dell’organizzazione in questo momento è limitato. “Abbiamo ricevuto denunce di violenza domestica, ma oltre a indirizzarle alla polizia, non c’è molto che possiamo fare. Abbiamo anche ricevuto denunce da altre organizzazioni che ci chiedono assistenza per le donne che seguono. Anche loro sono in difficoltà. È molto più difficile fare rete. Ci sono storie di crescente violenza domestica, ma non siamo più in grado di seguire i casi come prima”.

“Abbiamo ricevuto denunce di violenza domestica, ma oltre a indirizzarle alla polizia, non c’è molto che possiamo fare.

Durante la quarantena, l’Associazione Iroko ha messo a disposizione un volontario che offre un sostegno educativo alle donne migranti che faticano a seguire i loro figli con tutti i loro compiti e le lezioni on-line. Ruby ha spiegato che stanno dando questo sostegno perché molti bambini non parlano l’italiano come lingua madre, e alcune madri non hanno frequentato la scuola superiore, così trovano complicazioni per sostenere i loro figli. Per le donne che si trovano in difficoltà economiche, ha in programma di distribuire loro confezioni di cibo e maschere. Ruby ritiene che in questo periodo sia fondamentale aiutare chi ha perso il lavoro, dando loro un aiuto finanziario per pagare le spese. Molte donne hanno bisogno di assistenza anche per la gestione dei loro figli. Inoltre, è fondamentale assicurarsi che ricevano le giuste informazioni nella loro lingua o in una lingua che conoscono. Per questo motivo, Iroko sta preparando una campagna di informazione, utilizzando tutti i loro canali di social media per informare le donne su cosa sia Covid-19 e su come proteggersi e cosa fare se si ammalano o se escono di casa. Inoltre, è necessario fare qualcosa per affrontare la violenza domestica in questo periodo. “Le donne devono avere un qualche tipo di lasciapassare o una parola speciale che possano usare per chiedere aiuto nei casi di violenza domestica, dove non hanno altra via di fuga dalla persona che usa la violenza”.

“Le donne devono avere un qualche tipo di lasciapassare o una parola speciale che possano usare per chiedere aiuto nei casi di violenza domestica, dove non hanno altra via di fuga dalla persona che usa la violenza”.

Sandra Faith Erhabor è una scrittrice e mediatrice interculturale che lavora per aiutare le donne migranti ad accedere ai servizi locali e ad aiutare le vittime dello sfruttamento sessuale. Sviluppa anche diversi progetti culturali e letterari con le donne della Casa di Ramia. Come molte donne nigeriane, Sandra è arrivata in Italia con una falsa promessa di lavoro ed è quasi finita nella prostituzione. È riuscita a uscire da questo percorso e ora aiuta le donne in questa situazione.

Prima della quarantena, ogni settimana era in strada a parlare con le donne che si prostituivano per capire i loro bisogni e fornire aiuto. Ora sta lavorando a casa ad un progetto di una rete di organizzazioni che lavorano contro la tratta delle donne e lo sfruttamento sessuale a Verona, insieme a Azalea Cooperativa SocialeChiedo come stanno, come si sentono. Le donne si sentono sole e mi raccontano tutti i loro problemi. La maggior parte di loro non aveva cibo a casa. Così mando tutte le informazioni alla mia coordinatrice, e lei contatta la Caritas per fornire loro il cibo a casa. Adesso le donne che sostengo ricevono il cibo a casa. Alcuni di loro hanno problemi di salute e il coordinatore contatta i servizi sanitari per fornire loro supporto sanitario”, spiega Sandra.

Uno dei principali problemi che riguardano le donne è la mancanza di muoversi e di socializzare con le altre persone “La maggior parte di loro si sente sola. Grazie a Dio ora abbiamo Facebook, telefono, TV e luce 24 ore su 24. Così possono comunicare con il mondo esterno usando internet e il telefono” dice Sandra e spiega che tutte le ragazze che sostiene hanno Facebook. Quelli che non hanno Facebook hanno il telefono, così lei può parlare con loro.

“Chiedo di chiederle come stanno, come si sentono. Le donne si sentono sole e mi raccontano tutti i loro problemi. La maggior parte di loro non ha cibo a casa.”

Sandra ritiene che in questo periodo difficile la comunicazione sia molto importante “Chiamarli, fargli sapere che qualcuno si preoccupa per loro è molto importante. Alcuni di loro non vogliono parlare con me, ma io devo rompere quella barriera. Dico sempre se vogliono parlare di qualcosa per chiamarmi”. Ritiene inoltre che una misura davvero importante sia quella di fornire loro il cibo, dato che la maggior parte di loro si trova in difficoltà finanziarie. “Pianificare di inviare loro del cibo a casa è una cosa molto importante. La maggior parte di loro si trova ad affrontare il problema di non avere soldi per pagare l’affitto. Dato che nessuno è fuori, non si prostituiscono, come pagheranno l’affitto e le altre bollette come il gas, l’elettricità? Se c’è la possibilità di mettere a disposizione un pò; di soldi per comprare il proprio cibo, sarà molto buono”.

Oltre a questo lavoro, Sandra guida un gruppo di donne in collaborazione con la designer Margaret Enabulele. Stanno aiutando altre donne attraverso corsi di taglio e cucito. Prima della quarantena, si incontravano ogni settimana, e ora si incontrano online. “Facciamo artigianato a casa, usando WhatsApp, così non si sentiranno soli. Insegniamo loro come fare le loro maschere. Stiamo facendo un sacco di cose online.”

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